Ficarra – “Quando la Luna cantava” Spettacolo della Compagnia Sikania minor deus

La sera del 28 luglio, nella antica ed elegante cornice di Piazza Santa Caterina a Ficarra, l’amministrazione comunale ha proposto lo spettacolo “Quando la Luna cantava” della Compagnia Sikania minor deus. Ma neanche il pubblico più informato, accorso numeroso e attirato dalla fama della Compagnia, immaginava la portata dell’evento proposto.

Lo spettacolo-concerto, dalle forti connotazioni teatrali, sin dalle prime battute ha tenuto tutti col fiato sospeso, in un silenzio quasi religioso e spezzato solo da improvvisi e spontanei applausi per il ritmo dell’azione e per la bravura dei musicisti-attori che si esibivano.

La portata dello spettacolo “Quando la Luna cantava”, fortemente voluto dall’assessore Mauro Cappotto, instancabile promotore di importanti e intelligenti eventi culturali, per chi non ha avuto la fortuna di essere presente, la si può comprendere solo dall’analisi dello svolgimento dell’azione scenica.

Per prima cosa la trama: si narra del viaggio di alcuni musicisti popolari alla ricerca di un repertorio. Ma il viaggio viene continuamente interrotto dal continuo irrompere in scena di un personaggio strano e misterioso: Peppe Nappa, la bizzarra maschera siciliana della Commedia dell’Arte che, sotto l’influsso della Luna, esegue alcuni dei canti legati ai riti e alle tradizioni lunari dell’Isola. Come i musicisti alla ricerca di un repertorio, anche Peppe Nappa è alla ricerca di una definitiva identità: essere “maschera” o essere “umano”?

Peppe Nappa, magistralmente interpretato da Aurelio Indaimo che lo ha saputo rendere buffo, comico e, allo stesso tempo dolcissimo, si innamora della Luna e, nell’impeto di questo suo amore, disturba continuamente i musicisti che stanno provando un nuovo repertorio.

Da questa continua interazione nascono brani musicali della tradizione siciliana che coprono un arco temporale che va dal ‘600 fino ai ballabili che, nel periodo fra le due grandi guerre, emigrarono dall’Isola verso il Sudamerica e gli Stati Uniti.

Quasi un’ora e mezza di esecuzioni impeccabili che hanno dato modo al pubblico di ascoltare anche brani assolutamente inediti come “L’allegoria dell’asino morto” di origine berbera o il canto di fidanzamento dei pupari di origine zingara.

E, insieme a questi, la struggente versione secentesca di “Amuri, amuri” interpretata da Delfio Plantemoli col virtuosistico accompagnamento alla chitarra di Carlo Parafioriti; l’improvvisa, indemoniata danza in coda a un canto carnascialesco col suono cristallino di Franco Montagna al clarinetto, l’incredibile assolo di tamburello di Calogero Emanuele (responsabile della Compagnia); l’elegante virtuosismo delle due fisarmoniche suonate da Martina Armeli e Lorenzo Cangemi…

In tutto questo, non una sola parola di presentazione ma solo ritmo scenico e continuo coinvolgimento fino all’originalissimo finale dello spettacolo.

Quando il pubblico ha richiesto a gran voce e con insistenza un bis, la Compagnia ha cominciato a suonare un piccolo valzer e, in modo quasi distratto, lo ha fatto cominciando a girovagare tra il pubblico stringendo la mano e abbracciando quasi tutti e così, lentamente e in modo struggente, allontanandosi fino a scomparire dalla scena.

Un momento di grande emozione che ha lasciato il pubblico incollato alle sedie oltre la fine dello spettacolo.

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