Foibe – Giorno del ricordo: intervista con lo studioso Enzo Caputo. Anche i Nebrodi pagarono un tributo di sangue

Tra il 1943 e il 1947 furono gettati vivi nelle doline in Istria e Dalmazia quasi diecimila italiani. Sulle cifre però il dibattito è ancora acceso La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943.

Sull’argomento l’opinione del collega Enzo Caputo, che si occupa di Foibe fin dal 2000, autore del libro “Maria Pasquinelli dal pantano d’Italia è nato un fiore.”, che parla proprio di quel periodo buio della storia italiana

D.- Sono passati 77 anni da quei tristi avvenimenti e ancora c’è incertezza sui numeri reali del massacro e sulla portata reale dell’esodo e c’è pure chi minimizza.

R- Cercare certezze non è facile sia per “l’attualità” dell’argomento che per la difficoltà a reperire fonti complete. Giova ricordare le parole pronunciate di recente dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «… Le terribili sofferenze che gli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia furono costretti a subire sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi. Queste terre, con i loro abitanti, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, conobbero la triste e dura sorte di passare, senza interruzioni, dalla dittatura del nazifascismo a quella del comunismo.” Preconcetti, falsi storici, ideologie quasi “ingessate”, relazioni con paesi dell’Area e, soprattutto le “accuse reciproche di revisionismo complicano oltremodo la cosa. Ho voluto “esplorare” le Foibe attraverso la figura di Maria Pasquinelli, classe 1913; la “pasionaria” che fu la prima ad occuparsi di infoibati. Maria passò alla storia il 10 febbraio 1947 quando uccise a colpi di pistola il comandante della guarnigione britannica a Pola, il brigadiere generale Robert W. De Winton, reo di essere il rappresentante più alto in grado delle potenze vincitrici responsabili di aver ceduto alla Jugoslavia una buona fetta d’Italia.

D- Cosa successe in quegli anni?

R- L’Area citata dal Presidente, fu teatro, negli anni 40, della sanguinosa occupazione italiana che, in un misto di italianità, emulazione e onore nazionale, si macchiò di crimini orrendi che non conobbero alcuna “Norinberga” e che furono poi quasi presi a pretesto per giustificare la feroce reazione slava, in particolar modo in Istria che, essendo presidiata da pochissime forze, in genere reparti di carabinieri con armamento leggero, divenne facile preda dei titini. A “scoprire” per prima questi buchi neri fu proprio la Pasquinelli che si adoperò, dopo che i tedeschi nel 43 riconquistarono la zona, a recuperare dalle cavità della terra i poveri resti martoriati. Lo fece per amor di Patria anche se non mancarono e non mancano, quelli che videro nel suo operato l’azione propagandistica di un agente della X Mas. Sta di fatto che i tedeschi concessero il loro aiuto con il contagocce e una volta la arrestarono pure.

D- Quali furono i luoghi più sinistri?

R- Basovizza e Pisino solo per citarne alcuni. Quelle zone però sono piene di Doline più o meno profonde e nulla può essere escluso. A Pisino gli italiani furono radunati in gran numero per essere poi buttati nella spelonca dalle finestre del castello oggi museo, “Montecuccoli”. A Pazin, oggi Pisino si chiama così, le persone che ho intervistato negano di averne persino sentito parlare, e giurano che il vecchio bar “Foiba” si chiama così solo per la vicinanza al budello sotterraneo. Chi ricordava benissimo, anche se sottovoce, era un’anziana signora italiana sulla novantina, che aveva ormai perso ogni speranza di riparare in Italia.

D- Perché avvenne tutto questo?

R- Follia degli uomini, della storia, del “sonno della ragione” e soprattutto dell’essere la zona bordline tra i futuri blocchi della Guerra fredda. Sarebbe però riduttivo non contestualizzare e tacere i massacri dell’esercito italiano, mirati all’italianizzazione di quelle terre, i suoi campi di concentramento come Gonas, dove migliaia di bambini furono lasciati morire di fame. Molti italiani finirono infoibati solo perché tali. A “non pagare” spesso furono proprio i fascisti che, consci del loro operato e della situazione militare, lasciarono per tempo la regione.

D- Si ha certezza sul numero dei morti?

R- Il numero dei morti è al momento imprecisato e varia a seconda delle ideologie di chi “pretende” di averli contati. Non esistono cifre certe perché spesso non venivano registrati le uccisioni, la gente semplicemente spariva di notte. Inoltre è pure possibile che non tutti gli elenchi sono stati desecretati. Si può ritenere che furono 8, 9 mila e la loro fine fu atroce. A questi vanno aggiunti i militari italiani sbandati eliminati in imboscate o dopo essersi arresi o, peggio, dopo essere passati nelle file titine per ideologia o necessità. La loro memoria, scomparsa per oltre 60 anni dai libri di storia, è stata sacrificata agli equilibri internazionali, così come le atrocità italiane. Oggi c’è chi ancora afferma che Basovizza contiene armi e carcasse di animali a partire dalla I° Guerra mondiale e che i corpi dei militari recuperati appartenevano a tedeschi caduti in combattimento.

D. Quali italiani pagarono di più?

R- I meridionali trapiantati in quelle terre al seguito dell’occupazione. Tantissimi siciliani anche dei Nebrodi in particolare finanzieri ai cui familiari fu negato persino il riconoscimento formale e questo quando al famigerato comandante “Giacca”, al secolo Mario Toffanin, lo Stato Italiano riconobbe pure la pensione di vecchiaia. Scrive la rivista ‘Storia’ del 30 giugno 1997: :- “ l’Inps eroga ogni anno oltre 32 mila pensioni nell’ex Jugoslavia, spendendo circa 18 miliardi di lire. Questo esercito di vecchietti, in gran parte cittadini sloveni e croati, ha ottenuto la “minima” secondo un’interpretazione discutibile, o addirittura illegittima, di un regolamento della Comunità Economica Europea. Uno scandalo all’italiana che torna d’attualità con il processo delle foibe, perché nelle file dei pensionati d’oltreconfine ci sono molti responsabili della pulizia etnica ai danni dei nostri connazionali, fra il ’43 e il ’47, nei territori occupati dai partigiani jugoslavi.”

D- Fu pulizia etnica?

R- Ci sono tutti gli elementi per definirla tale. Gli Italiani dovevano andarsene anche quelli che vivevano in pace da più generazioni. I loro averi facevano gola tanto quanto, girando la medaglia, quelli degli ebrei. Gli esuli non ebbero vita facile neanche in Italia. Venivano insultati e chiamati fascisti, anche se in pochi lo erano, al passaggio dei loro treni nelle stazioni.

D -Dei luoghi più visitati e delle interviste fatte cosa ti ha colpito di più?

R- La paura che ancora nel 2016 ha a Fiume (Rijeka) un prete di 95 anni nel parlare di questo argomento e la scritta” “Vi fu negato un luogo per essere pianti”. in un piccolo anonimo quasi ignorato cimitero senza tombe a Montona “terra” del tanto discusso “Albo d’oro di Papo.

D- Il massacro poteva essere evitato?

R- Una domanda la cui risposta può lasciare spazio a opinioni contrastanti. Il massacro non poteva essere, stante l’andamento della guerra, evitato no. Poteva però essere contenuto. Nel 43, dopo il discusso armistizio che di fatto lasciò in balia di se stessi quegli italiani, i danni furono limitati dall’intervento della Wehrmacht. Nel 45 si poteva piangere con un occhio solo se tutte le forze italiane in campo, almeno sull’argomento, avessero trovato un’intesa. Pare che la X Mas (notizia da prendere con le pinze) avesse proposto alle brigate partigiane operanti in quelle zone, un’alleanza circoscritta e momentanea alle brigate partigiane per difendere quelle terre. Forse l’emergere di elementi nuovi, cosa assai improbabile dato il tempo e i trascorsi storici, sull’eccidio di Porzûs, in cui partigiani italiani furono uccisi da altri partigiani, potrebbe fornire ulteriori elementi.

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