Brolo – La messa o il ricordare un defunto deve essere pagato? Le considerazioni di Don Enzo Caruso

Dovrebbe essere pagata la messa o il ricordare un defunto?  Esiste una tariffa per le messe in memoria di un defunto, di ringraziamento o per le celebrazioni del matrimonio, funerale, prima comunione e cresima?. Domanda ricorrente di alcune persone. Il papa ha risposto chiaro come l’acqua: “la redenzione è libera”. In effeti, il Codice di Diritto Canonico (can. 945) regola le offerte e insiste perché i sacerdoti celebrino la Messa con le intenzioni dei fedeli, “soprattutto dei più poveri, anche senza ricevere alcuna offerta”.

Si può comunque ricevere un’offerta libera, che però non è una tariffa per un servizio che obbliga a dare del denaro. Un materia complessa, che da sempre trova diverse idee, usanze e costumi da paese a paese. Ogni chiesa, ogni sacerdote può tuttavia ricevere un’offerta gratuita. Non è una tassa per un servizio che ti obbliga a dare soldi cosi si può chiudere l’interrogativo. 

Sul dilemma devo pagare o non pagare per una messa o per un riccorenza il parroco di Brolo, don Enzo Caruso ha cercato di chiarire la questione, sottolinenando che su quiesto argomento era già intervenuto più volte.

Ecco le sue considerazioni:

1) PREGARE PER UN DEFUNTO È UN DOVERE DEL PRETE E UN ATTO DI CARITÀ VERSO IL COMMITTENTE.
La richiesta che mi viene fatta è una richiesta di “aiuto”, di “sostegno” spirituale alla persona che chiede la messa. Chi sente di “far dire” una messa a un proprio caro lo fa perché quella persona gli manca. Il mio primo dovere di sacerdote è accogliere la richiesta in nome della carità cristiana e di “entrare dentro” il  bisogno di quella persona e condividerlo. Pregare per questo o quel defunto non è un servizio di commissione. È una richiesta di un fedele ma è anche un atto di amore dei celebrante, che porta questa intenzione all’intera comunità presente in Chiesa. È la chiesa che prega per il defunto. Non si tratta di una mera commemorazione privata.
2) NON ESISTE TARIFFA CHE POSSA EQUIPARARE IL PREZZO CHE CRISTO HA PAGATO, COL SUO SANGUE, PER LA SALVEZZA DI QUEL DEFUNTO.
Da prete, commetterei un peccato se dicessi a una persona: “mi devi €…”. I tariffari per i sacramenti sono una controtestimonianza della fede.
3) NON È NEANCHE VERO CHE LA MESSA SIA “GRATIS”, NEL SENSO CHE DISIMPEGNA IL COMMITTENTE. C’È UN GRAVE OBBLIGO DA OSSERVARE.
Preciso. Quando faccio celebrare la messa per un defunto, c’è un prezzo che è stato pagato per lui. Cristo, con il suo sangue ci ha riscattati a caro prezzo. È questa offerta di Sė, da parte di Cristo, che a noi giunge come un dono immeritato e gratuito. Pertanto, quando il fedele chiede una Messa per un defunto, il vero problema non è il costo delle messa, ma se il fedele capisce il mistero di amore di Dio che si sta celebrando. Purtroppo devo dire che in pochissimi casi questo avviene. E non manca la catechesi per educare il popolo a questo. Il “prezzo” che noi dobbiamo veramente “pagare” per una messa per un defunto o per un sacramento è la conversione del cuore, il ritorno a Dio e una vita negli spirito del vangelo.
4) C’È UN ATTEGGIAMENTO PROFANATORE DI MOLTA GENTE
Nella mentalità comune, vi è la convinzione che la messa “commissionata”  per quel defunto trasformi la Messa in un rito privato, celebrato a disposizione del committente e a suo uso e consumo. È come se la Messa fosse stata “comprata”. A quel punto il prete è un impiegato a “mio servizio”. La Messa in quanto celebrazione del mistero delle passione, morte e risurrezione di Cristo, il mio impegno nell’alimentare la mia fede e nel vivere secondo il vangelo, vanno a farsi benedire. Ciò che conta è quel fatidico momento in cui sento pronunciare il nome del mio defunto. Ma così facendo, i primi ad aver trasformato la Messa in servizio di consumo sono i committenti. Vi assicuro che ragionare con loro è molto difficile, perché in molti manca proprio la disponibilità a mettere in relazione la Messa con l’esigenza di un cammino di fede. Non ne hanno alcun interesse. Quello che conta è che il nome del defunto venga pronunciato. Quindi, al termine della messa, il prete si trova con il problema alla rovescia: il committente chiede quanto deve pagare e non c’è verso di convincerlo che potrebbe anche non pagare, perché le messa è gratuita e che, se lascia una offerta, è un dono fatto al celebrante o per i bisogni della parrocchia.
5) I SACRAMENTI SONO GRATUITI. È UN DOVERE DELLA CHIESA CELEBRARLI. È UN ATTO DI AMORE DARE SOSTEGNO ALLA CHIESA
Non esiste un prezzo per un sacramento. L’offerta data non è il compenso corrisposto per la prestazione fatta. È un atto di gratitudine verso la Chiesa e un atto di attenzione verso i suoi bisogni. La parrocchia non è finanziata né dalla diocesi né dal Vaticano ma vive  della generosità dei suoi fedeli. Una regola di base che io personalmente uso è questa: “Se date, date con gioia e non con risentimento. Altrimenti tenetevi i vostri soldi. Chi dà, dia secondo le proprie possibilità; chi non può, non dia nulla”. Mi chiedo solo se ci sia qualcuno così povero da non poter dare nulla. Ma questo è un altro argomento. Intanto arriviamo alla domanda centrale:
6) QUANTO È GIUSTO CORRISPONDERE PER UN SACRAMENTO? 
Nulla. Per i sacramenti nulla è dovuto. Ogni offerta è intesa come atto di sostegno ai bisogni della chiesa. Quanto dare per questo sostegno? Dipende dalle persone e dalle situazioni. Ho celebrato la messa di matrimonio a coppie dalle quali non ho voluto nulla, perché ho visto che vivevano in condizioni di notevole precarietà e in alcuni casi ho visto anche la loro generosità nel prendersi carico di problemi di altri che non appartenevano loro. In tal caso, hanno già dato la loro offerta.
Al contrario, ho ricevuto €50 per un matrimonio per il quale la cifra complessiva spesa per farlo apparire il classico “matrimonio del secolo” è stata esorbitante. Il problema non sta nei €50. Si potrebbe anche non lasciare nulla. D’altra parte, per tante persone questa cifra potrebbe essere già uno sforzo. Ho l’impressione, però, che in certi casi si voglia prendere in giro Gesù Cristo usando il suo stesso vangelo. Si spendono soldi per tutto, sopratutto per il superfluo. Si spendono soldi per quel gesto spettacolare che deve fare ricordare le “cerimonia” per anni a venire. Ma verso la Chiesa si mantiene in atteggiamento rigido, usando il vangelo e i discorsi sulla povertà per giustificare una offerta minima.
Questa si chiama ipocrisia. Ricapitolando, non esiste una cifra per i sacramenti. Il problema non è nel prezzo, ma nell’atteggiamento del fedele. Bisogna pur ricordare che la chiesa senza il supporto dei fedeli non potrà pagare neanche le utenze. Sono scomparse da tempo le famiglie che davano offerte capaci di aiutare la parrocchia a sostenersi. Oggi molte parrocchie versano in condizioni precarie o addirittura di debiti, perché non entrano più offerte o quelle che entrano non sono più sufficenti a pagare le utenze. Alla fine tutto è questione di coscienza.
7) NE VOGLIAMO PARLARE DI QUEI PRETI CHE METTONO TARIFFE E CHIEDONO UN SACCO DI SOLDI? Sbagliano. Nulla può giustificare un tariffario per i sacramenti.
8) QUANTO INCIDE LA CULTURA DELL’ODIO CHE SI È AFFERMATA IN ITALIA? 
Tanto. I discorsi sulle favolose riserve di oro del Vaticano e sugli scandali hanno fatto danno a quelle parrocchie che, sparse per l’Italia, lavorano versando sangue e sudore, senza mezzi, senza risorse e con enormi sacrifici, molto più che a quelle ricche e facoltose.
Il giorno di Pasqua, nella nostra Parrocchia, durante l’offertorio, mi fu riferito che una persona, nota per essere un hater (un fomentatore di odio sui social), dopo un accorato appello fatto alla comunità per renderla partecipe della situazione difficile un cui versa la parrocchia, ebbe a dire “dategli un milione di euro a questo, così la finisce di lamentarsi”. Io non ho sentito ma mi fu riferito da diverse persone, indignate, che sentirono a distanza di qualche fila. La campagna di odio contro la Chiesa (in Italia e a livello locale), portata avanti dagli haters e dai diffusori di bufale, ha ottenuto dei risultati, ma non sempre a vantaggio loro: infatti le reazioni più comuni della gente sono lo sdegno e la stanchezza verso questa campagna di odio, la confusione di molte persone semplici che non sanno come funziona una parrocchia e la polarizzazione di una parte della società, a partire dai rapporti di amicizia o parentela con gli haters. I fedeli dal cuore sincero non sono venuti meno. Il lavoro pastorale per fare passare il vangelo è certamente più ostacolato, ma il cammino del vangelo non si ferma con un pugno di maleducati e bugiardi.
9) CHE FARE?
Continuare a lavorare, con passione, amore, umiltà e consapevolezza dei propri limiti, sapendo che la chiesa è “semper reformanda”, che, cioè, ha sempre bisogno di rinnovamento e purificazione. Ma i cristiani veri, di questo, sono consapevoli. Non hanno bisogno di giustizieri social per ricordarlo.
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