Cambiano i tempi e anche il linguaggio si evolve, ma succedono episodi paradossali, che divengono presto modi e abitudini acquisite dalla collettività. È così che, mentre la ricerca va avanti e si compiono progressi nella scoperta o nello studio di determinate patologie o forme di disagio, certi termini, con significati specifici e precisi, che servono alla comunità scientifica per dialogare in maniera univoca ed inequivocabile, entrano in uso nel linguaggio popolare e vengono utilizzati dai “profani” nel peggiore dei modi, non solo ignorandone il corretto significato, ma anche banalizzando la sofferenza di chi deve confrontarsi ogni giorno con determinate realtà e cause di disabilità. A denunciare una di queste pratiche è la dottoressa Giuliana Scaffidi, che “bacchetta” gruppi whatsapp offensivi verso soggetti affetti da autismo.
“L’autismo non è una freccia esente da dolore – dice la dott.ssa Scaffidi – Sembra paradossale, ma i gruppi whatsapp servono pure a questo. È notorio che si tratta di un canale fertile assai adoperato da grandi e piccini, da eminenti professionisti e da studenti, i quali, per armonizzare con la classe, usano (sempre su whatsapp) appellativi poco ragguardevoli nei confronti di patologie gravi e, fatto ancora più allarmante, che si palesano come modi ilari di esprimersi.
Tutto questo – continua Giuliana Scaffidi – senza avere la benché minima cura se vi siano componenti, sempre facenti parte della classe, che sono affetti da gravi patologie, fra cui proprio i disturbi dello spettro autistico. Questi messaggi passano indisturbati, senza controllo da parte della genitorialità, pertanto diventano continuativi e trovano sempre più adesioni. Tali appellativi, oggi tanto diffusi, sono diventati un “tormentone mediatico” e si sono sostituiti ai “classici” epìteti a cui tutti indistintamente siamo stati sottoposti, soffrendone”. “Appare e mi repelle – prosegue la dott.ssa Scaffidi – che “sei autistico” viene utilizzato come ingiuria e che addirittura vengano per questo usati degli Stickers”.
A tale premessa segue il racconto del caso di un ragazzino autistico, affetto dal disturbo con un alto funzionamento e, pertanto, capace di recepire l’invito alla risata e consapevole che quell’espressione è riferita proprio a lui. Il giovanissimo alunno della scuola media inferiore fa parte del gruppo whatsapp della sua classe e giornalmente convive con questi insulti, spesso motivo di ulteriore sofferenza o, addirittura, di sentimenti di colpevolezza per la propria patologia.
“Non è ammissibile – dice ancora la dott.ssa Giuliana Scaffidi – che azioni riprovevoli passino inosservate agli occhi di chi dovrebbe vigilare, accudire, insegnare” e conclude: “Una società che condanna, che deride, che si erge a giudice, ha una grande e insostenibile pecca: quella di asserire che abbiamo fallito tutti, ognuno con il proprio ruolo”.