Sinagra – “Aspettando quell’ordine che non arrivò mai”- La rabbia o l’orgoglio. Riaffiora il “diario” di Pietro Faranda

Una frase che racchiude tutto lo stato d’animo della maggior parte dei soldati italiani che si battevano nei vari fronti della II Guerra Mondiale. A scriverla o, meglio, dettarla è stato Rosario Pietro Faranda- classe 1921- (nella foto) di Sinagra, cartolina precetto del 3 gennaio 1942; destinazione Piemonte, Alessandria e poi CAR a Fossano I° Reg. Artiglieria da montagna in attesa di essere inviato nelle nevose steppe russe.
La fortuna però giocava a suo favore. A salvarlo dalla partenza un provvidenziale contrordine prima e la malattia. Finita la convalescenza viene aggregato alla contraerea tedesca incaricata di ostacolare i bombardamenti del porto di Genova. Nella “FLAK” opera 33 giorni per essere poi destinato ad un reparto di vecchie batterie 149/35 di stanza lungo le coste meridionali francesi, per “battere- racconta- i convogli americani”. “Ricordi che sarebbero andati sicuramente perduti se -spiega la nipote Liliana Franchina- la mia insegnante Carmela Tindiglia non mi avesse assegnato, tra i compiti a casa, anche quello di intervistare il nonno”.
Una narrazione, quella di Faranda, e uno spaccato delle aspettative e degli umori dei soldati italiani che volevano combattere per, nello specifico, “ributtare a mare gli Americani” a Gela (n.d.r.)- Pietro è in Francia ma “radio fante” lo ha già informato che in Sicilia c’è la voglia, poi mortificata, di combattere “sono sbarcati- racconta- senza essere disturbati”. Lo sfascio dell’8 settembre del ’43 demoralizza anche il fronte francese.
Ricorda ancora il “nostro” -con un linguaggio che ricorda un po’ Rabbito- “Vedendo le cose come si sono presentate, a poco a poco, tutti abbiamo abbandonato le nostre posizioni e siamo scappati. Quelli che erano fascisti veramente si sono stati con i tedeschi; il gruppo che era con me siamo scappati per le montagne”.
– La IV armata si dissolve- “Nel mio gruppo siciliano, c’ero io e un tenente che era di Catania…” che raggiunse la fidanzata in quel di Cuneo. Pietro vive i disagi e le “furbizie” della disfatta. Abiti civili per iniziare l’Odissea lungo lo stivale sulla strada di casa, districandosi tra pattuglie tedesche, rigide ma non troppo, e militari di Salò che, ai controlli misti, chiudono un occhio consci delle nubi nere che si addensano sulla Repubblica di Salò. “Signor Tenente voi siete la forza non ho il coraggio di impugnare di nuovo l’arma verso la mia casa. Fate di me quello che volete!” “Vai pure in bocca al lupo! Hai trovato un padre di famiglia”.
Il viaggio continua, tra reparti tedeschi “seminati” a perdita d’occhio e lungo binari smessi. C’è bisogno di molta fortuna per attraversare la linea Gustav o bisogna aspettare, come nel suo caso, l’arrivo degli Americani. Finalmente la tanto agognata Villa San Giovanni con, ahimè, la mancanza di traghetti. Ma il mercato nero è florido nella Sicilia amministrata dall’ AMGOT e il reduce riesce, con altri due compagni, a traghettare al modico, si fa per dire, costo di 300 lire a testa o un paio di scarpe per chi non disponeva di soldi. Laceri, affamati e col mal di mare toccano terra- Finalmente a casa- “…Di corsa ho cercato aiuto in una casetta vicino dove una vecchietta mi ha dato un po’ di spirito e fichi secchi…”.
Un camion americano da lì lo sfila fino a Brolo- Quattro salti e “fu” subito a Sinagra- Tutto finito? Manco a pensarlo. L’Italia era ancora in guerra “cobelligerante” degli Anglo-americani. Si ricostituva, ma “non troppo”, il nuovo esercito italiano. Serve pure Pietro.
Arriva infatti la cartolina ; l’incubo continua-. Pietro scappa, si rifugia a Catania e lì resta fino al ’45. A guerra finita si presenta al distretto “Fino ad ora dove sei stato?” – ti interessa? – No, ma ti è andata bene, in due anni potevano catturarti… E intanto arriva l’italico atteso “congedo illimitato provvisorio”. Sono passati quasi 75 anni ma i ricordi e gli affetti non muoiono mai.
Enzo Caputo / Liliana Franchina
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