Carissimi Amici,
Sono lieto di rivolgere gli auguri per il Santo Natale a tutti voi. E’ la prima volta che celebro il Natale con voi come Vescovo di questa bella Chiesa diocesana e sono felice di condividere con voi questa festa di gioia e di speranza.
Siamo a Natale, sempre caro e sempre atteso, e nei nostri cuori risuonano ancora una volta le parole che l’Angelo rivolse ai pastori nella Notte di Natale: «Non temete, vi annunzio una grande gioia: oggi è nato per voi il Salvatore. Andate a Betlemme!» Sono queste le parole che risuonano nel cuore della notte di Natale prima di annunziare il messaggio rivoluzionario. E’ un invito che riguarda gli uomini in tutti i tempi e i luoghi.
Noi tutti viviamo nel timore, nella paura, nell’angoscia. Vi sono timori d’ogni specie, per ogni età e per ogni categoria: c’è il timore per la salute, così facilmente esposta alle devastazioni da malattie incurabili calamità della nostra epoca di fulgidi progressi. C’è la paura di aggressioni di violenze, di un terrorismo fondamentalista, cieco e folle che dissemina morte, angoscia e smarrimento. C’è la paura di chi è disoccupato e quella del migrante in cerca di dignità, di libertà, di lavoro e di pane. Vi sono innumerevoli paure di fronte a un avvenire che presenta contorni incerti per tante famiglie perché manca loro il necessario per vivere, la sofferenza dei giovani che esitano a impegnarsi perché non intravedono nel futuro prospettive di vita;
l’emarginazione e la solitudine degli anziani, il peso schiacciante delle responsabilità di chi ha il dovere di prendere decisioni.
A tutte queste forme di paura l’Angelo del Signore la Notte di Natale è inviato a ripetere: « Non temete! Fatevi coraggio!». Dio ha mantenuto la sua promessa perché è un Dio fedele e vuole gli uomini felici. Ma cosa significa nel terzo millennio essere felici! La felicità è un esigenza che accomuna tutti, credenti e non credenti. La ricerca della felicità è inserita nelle Costituzioni tra i diritti fondamentali degli uomini. Ma allora, perché cosi pochi sono veramente felici, e anche quelli che lo sono, lo sono per così poco tempo? Forse la ragione principale è questa: nella scalata della felicità sbagliamo versante, scegliamo un versante che non porta alla vetta.
La Rivelazione ci dice che la vera felicità dell’uomo consiste nell’unione con Dio, perché Dio è la felicità dell’uomo. L’incontro con Dio, in un bambino fragile, accende nel cuore la speranza che dona luminosità alla vita. Perché Natale è una festa di luce e di speranza! La speranza dà un respiro fresco all’uomo e lo attiva a vivere il suo impegno nel mondo, non perché rimanga quello che è, ma perché ritrasformi e diventi ciò che gli è promesso che diventerà. La visione del nostro tempo presenta un vissuto esistenziale nel quale si è rotta non solo l’unità di un mondo, di un modello culturale, ma si è rotta, in modo più fondamentale, anche l’unità della persona. La protagonista Cristiana, in uno dei testi teatrali del filosofo e drammaturgo G. Marcel nell’opera «Il Mondo in frantumi», mette in evidenza la realtà di un mondo, il suo, e quello degli altri, che è sempre in frantumi, non c’è più un centro, non c’è più neanche vita:
«Cristiana dice: Non hai l’impressione, qualche volta, che noi viviamo… se questo può chiamarsi vivere… in un mondo rotto? Sì rotto, come un orologio rotto. La molla non funziona più. Apparentemente non c’è niente di cambiato. Tutto è perfettamente a posto. Ma se si porta l’orologio all’orecchio… non si sente più niente. Capisci, il mondo, ciò che noi chiamiamo il mondo, il mondo degli uomini…una volta doveva avere un cuore. Ma si direbbe che questo cuore ha cessato di battere…».
Un cuore che ha cessato di battere dice la mancanza di vita e di speranza. Tornare a sperare vuol dire porre le condizioni perché questo cuore riprenda a battere di nuovo… un cuore cioè capace di pensare, un cuore capace di sentire e di amare. Il Natale di Cristo chiede una vera e propria rivoluzione: la rivoluzione interiore del nostro cuore, dei nostri pensieri, delle nostre decisioni. Ed è da questa rivoluzione interiore che scaturirà, possente e vittoriosa, la gioia di vivere in pienezza la vita, come dono di Dio e frutto del nostro impegno. Lasciamoci quindi prendere per mano dai pastori, nostri modelli ed amici; loro sanno perché ci dicono: «Andiamo a Betlemme!». Auguri amici, anche a voi che ci seguite da lontano, auguri cari fratelli e sorelle visitate dalla sofferenza, auguri famiglie, che pur tra tante difficoltà, accogliete il dono della vita.
A tutti auguro, con un grande abbraccio fraterno, che la gioia del Natale invada
i vostri cuori.
Buona Natale!
+ Guglielmo, Vescovo