La lingua ha la peculiarità di saper raccontare la storia e l’identità di un popolo; risultato di quei processi di integrazione e disgregazione che hanno investito la sfera della comunicazione creando, spesso, varie differenziazioni in comunità vicine ed appartenenti geograficamente alla medesima area. Possiamo scorgere noi stessi la verità di queste parole, rammentandoci le varie differenze esistenti tra un paese e l’altro che, gomito a gomito, costeggia la nostra costa. La Sicilia vanta una varietà di dialetti notevolmente differenti tra di loro che raccontano la storia delle conquiste straniere dell’incontro/scontro di popoli e culture un tempo agli antipodi. Il dialetto Messinese u missinìsi o a parrata missinisa è un dialetto della lingua siciliana particolarmente variegato. Nelle Eolie se ne parla una variante (Dialetto Eoliano), nei vari centri costieri si evidenziano accenti identificativi e modi di dire, ma soprattutto in alcuni comunità si attesta l’esistenza del, cosiddetto, gallo-italico, un dialetto di per se particolarmente affascinante proprio perchè discostante enormemente dalla lingua Siciliana.
Nella provincia di Messina le comunità con lingua gallo-italica sono: San Fratello, Acquedolci, San Piero Patti, Novara di Sicilia, Fondachelli-Fatina, Montalbano Elicona.
Chi ha avuto la possibilità di sentire parlare, per esempio, un cittadino di San Fratello si sarà sicuramente domandato l’origine di tale dialetto ed avrà notato i legami e somiglianze con il francese.
Cerchiamo di rispondere. Perché questi dialetti si chiamano gallo-italici? Ed a quando risalgono?
Le ragioni dell’ origine dei dialetti galloitalici di Sicilia (lombardo-siculi) vanno ricercate nell’insediamento di coloni provenienti dalla medievale Lombardia (l’Italia settentrionale occupata dai Longobardi) al seguito dei Normanni, i conquistatori della Sicilia.La conquista normanna dell’Isola, compiuta da Ruggero d’Altavilla, inizia nel 1060, con la presa di Messina e della zona Settemntrionale, e si conclude nel 1091, con la resa di Castrogiovanni e la caduta di Noto, ultime roccaforti musulmane. A livello culturale la situazione che si presentò a Ruggero d’Altavilla evidenziava una forte influenza araba e greca che sovrastava quella latina. Per fronteggiare tale situazione Ruggero rinforzò l’elemento latino sia a livello culturale che demografico, pur rispettando la cultura e le competenze di arabi e greci. Così affidò compiti di responsabilità ai suoi amici normanni e francesi e poi, in misura sempre maggiore, ai “lombardi”.
Furono incoraggiate formazioni di vere e proprie “colonie” collocate in maniera strategica dalla costa settentrionale a quella sud-orientale passando per il centro, quasi a creare una zona cuscinetto, per impedire agli arabi di oriente e occidente di riunire le proprie forze e velocizzare fenomeno la latinizzazione della Sicilia. Le tracce di questa colonizzazione, ancora dopo quasi mille anni, si trovano nei dialetti; in alcuni paesi dell’entroterra come: Aidone, Piazza Armerina, Nicosia, San Fratello e Sperlinga, Novara di Sicilia, sono così evidenti che si parla ancora di colonie lombarde o per meglio dire galloitaliche.
Gli studiosi dei fenomeni linguistici per definire e differenziare la situazione linguistica di queste comunità, rispetto al complesso panorama dei dialetti siciliani, parlano di isole alloglotte, perché straniera appare all’orecchio dei siciliani la parlata di queste popolazioni ora definite “francesi” ora “lombardi”.
La parlata di questi coloni provenienti dal nord Italia si è mantenuta a lungo in Sicilia, anche se le isole linguistiche createsi hanno cominciato a essere erose dall’impatto, prima, con i dialetti siciliani, e in tempi più recenti, con quello della televisione e della scuola dell’obbligo, prospettando il pericolo della scomparsa di questa antica e preziosa testimonianza storica e glottologica siciliana. Ma non è così per tutti. E’ sotto i nostri occhi il legame particolare ed il reale bilinguismo esistente a Nicosia, San Fratello e Novara di Sicilia dove il galloitalico è sentito come elemento di identità cittadina, parlato in tutti gli strati sociali, orgogliosamente sfoggiato. Certamente su questo atteggiamento estremamente positivo ha giocato molto la relativa vicinanza tra di loro di questi centri, ed il naturale riconoscere nel vicino un proprio simile rispetto al resto dei siciliani.
Ed ecco la lingua mostra la sua duplice forza: coesione tra i simili, differenza con gli “stranieri”, in un perfetto equilibrio tra tutela della propria identità e convivenza e rispetto dell’altro. Nell’era nella quale il multiculturalismo arranca vergognosamente a farsi strada tra la diffidenza generale, la Sicilia ci insegna che è possibile tutelare la propria storia e aprirsi all’altro senza incorrere in lotte di potere o perdere il perchè delle proprie radici. Un esempio da seguire.
Prendiamone atto.