Il territorio siciliano è stato finora avaro di fossili di grandi rettili, con la sola segnalazione nel 2009 di un osso frammentario rinvenuto in provincia di Palermo, appartenuto forse ad un dinosauro teropode. Ora, la scoperta dei primi resti di rettili marini mesozoici a cavallo tra la provincia di Enna e Catania, sul monte Scalpello, a due passi da Catenanuova, accende nuova luce su un capitolo ancora oscuro nella storia naturale della più grande isola mediterranea. “Il ritrovamento è stato occasionale e fortuito dopo 20 anni di ricerche sul territorio siciliano” spiega il direttore scientifico del Museo di Comiso, Gianni Insacco, dove sono ora custodite le due vertebre di ittiosauri.
“I nuovi fossili sono stati rinvenuti durante le operazioni di lavaggio di materiale prelevato presso Monte Scalpello nell’ottobre 2011” spiega il naturalista Agatino Reitano autore della scoperta insieme al biologo Davide Di Franco che, in sinergia coi paleontologi Cristiano Dal Sasso (Museo di Storia naturale di Milano), Gianni Insacco (Museo civico di Storia naturale di Comiso) e Alfio Alessandro Chiarenza (Università di Bologna), hanno pubblicato la scoperta questo mese sulla Rivista Italiana di Paleontologia e Stratigrafia.
“Gli ittiosauri siciliani appartenevano al gruppo degli shastasauri. Somiglianti agli odierni mammiferi cetacei, simili ad un delfino col muso da pesce spada, erano vivipari, non deponevano uova e partorivano in mare aperto” dice Insacco. Sino ad oggi gli shastasauri erano noti solo in Nord America, Sud-Est asiatico, Europa centrale, e in Italia sull’arco alpino (Besano, in provincia di Varese).
“Il ritrovamento di ittiosauri shastasauri in Sicilia è tuttavia inaspettato e ridefinisce le conoscenze sulla distribuzione geografica del gruppo, costituendone la segnalazione più meridionale, in una zona che all’epoca era prossima all’equatore. Ecco perchè bisognerebbe maggiormente attenzionare la Sicilia sotto il punto di vista ispettivo” precisa Insacco. Il Triassico Italiano è rappresentato da importanti affioramenti nelle Prealpi lombarde, Dolomiti, Prealpi carniche, Appennino ligure, Appennino tosco-emiliano, Appennino campano, Appennino lucano (Val d’Agri), monti Peloritani in Sicilia, oltre ad alcune piccole aree della Calabria e della Sardegna. “Allora la Sicilia era coperta dal mare aperto e solo nel tempo è andata affiorando, nell’ordine di un millimetro l’anno. Precisiamo quindi che non è l’acqua che si è ritirata, ma è la parte terrestre che è emersa. E le rocce di monte Scalpello come tutta la Sicilia in questa evoluzione hanno subito numerosi spostamenti cosa che determina la difficoltà di ricostruire esattamente l’ambiente di allora, a discapito anche delle ricerche”.
Questi rettili marini, dotati di pinne al posto delle zampe, nuotavano in un caldo oceano tropicale (nel Tetide) del Triassico, 230 milioni di anni fa, in quello che oggi è il territorio montuoso della Sicilia centro-orientale, ma che allora prossimo all’Equatore, da cui negli anni si è allontanato. Lo studio anatomico delle vertebre ha permesso di identificare i due individui, di cui il più grande di 4-5 metri. L’esemplare di maggiori dimensioni è rappresentato da una vertebra dorsale; l’osso più piccolo è una vertebra cervicale e proviene da un individuo non ancora adulto. Due esseri, che ci piace immaginare fossero la mamma e il suo figlioletto, sopravvissuti alle Ere e giunti a noi per raccontarci la loro storia. Tanti altri non avranno questa opportunità: non si esclude siano stati triturati e morti per sempre. Insacco: “Ci giunge spesso notizia che nelle cave di pietra si ritrovino reperti che sembrano conchiglie e che finiscono macinate tra le pietre”.
Graziella Mignacca