Sotto la Pasqua, non c’è “pace” per la Caleg, bocciata dal Tar la causa “Cippatrice”

SINAGRA- Non c’è pace per la “Caleg” la fabbrichetta che produce pellet nell’Area artigianale di Sinagra “bocciata” dal Tar di Catania, chiamato a pronunciarsi su una “diatriba” che, tra l’altro, ruotava anche attorno alla “cippatrice”, la macchina necessaria a triturare il legno per fare poi il pellet ,“accusata” di recare danno, fosse solo potenziale alla salute.

Una sentenza, quella del Tar, che è doveroso leggere integralmente e che per questo viene riportata in calce all’articolo. Intanto su web impazzano, com’è giusto che sia, commenti, e “previsioni” mentre “radio fante”, che aveva tirato un sospiro di sollievo subito dopo l’accordo, proposto dai consiglieri di minoranza e dalla Vice presidente del Consiglio e con l’autorevole intervento del Prefetto, si preoccupa ora della sorte dei lavoratori che, indotto compreso, sarebbero circa una trentina.

“Ci vuole lavoro e rispetto della salute umana che possono e si devono conciliare” dicono in molti. Ieri sera l’impianto era spento e la cosa non lascia ben sperare”, dicono i soliti ben informati che danno per sicuro che il titolare possa anche decidere di spostare l’attività in uno dei paesi vicini magari licenziando tutti e assumendo nuovo personale.

Notizie da prendere con il bilancino ma allarmanti quanto basta per i lavoratori, molti dei quali monoreddito, che per la caleg hanno dato i loro anni migliori. Una vicenda ad alto impatto sociale quella della Caleg che non mancherà certo di avere un seguito che “si spera” positivo per le maestranze e per i consumatori .

Enzo Caputo

Il testo integrale della sentenza

N. 01038/2014 REG.PROV.COLL. N. 02647/2012 REG.RIC. IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 2647 del 2012, proposto da: Caleg Srl, in persona del soggetto legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Currao, con domicilio eletto presso lo stesso in Catania, via Giuseppe Verdi, 127; contro Comune di Sinagra, in persona del Sindaco legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Salvatore Librizzi, con domicilio legale presso la Segreteria del Tar Catania in Catania, via Milano 42a; per l’annullamento – dell’ ordinanza sindacale n. 32 del 10/10/2012 del Comune di Sinagra; – della nota sindacale prot. 10674 del 29/9/2012; – della nota interna, a firme congiunte del Comandante della Polizia municipale e del Tecnico comunale prot. n. 10991 dell’ 8/10/2012; – di ogni altro atto presupposto o consequenziale comunque connesso con i provvedimenti impugnati. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Sinagra; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 marzo 2014 il dott. Gustavo Giovanni Rosario Cumin e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO La società CALEG s.r.l. aveva ottenuto la concessione in locazione di uno dei 19 capannoni realizzati dal Comune di Sinagra nell’ambito dei “Programmi Integrati Mediterranei” di cui al Regolamento CEE n. 2088 del 23/07/1985 per l’insediamento di attività artigianali, e lo aveva utilizzato per la realizzazione di un impianto per la produzione di “ecopellet”, un combustibile naturale ottenuto dalla triturazione di tronchi d’albero. Avendo constatato che il ciclo di lavorazione svolto da tale impianto non corrispondeva al contenuto delle autorizzazioni rilasciate per l’avvio della relativa attività alla CALEG s.r.l. – in particolare per la collocazione di tale macchina cippatrice all’esterno del capannone, anzicchè all’interno dello stesso, come da presentato progetto, il Comune di Sinagra, avendo rilevato da ciò discendere un nocumento per la salute pubblica a causa della propagazione di polveri prodotta dell’operare del macchinario prima indicato, ordinava, con ordinanza sindacale n. 32 del 10/10/2012, alla CALEG s.r.l. di provvedere alla (ri)collocazione di tale macchina scippatrice all’interno del capannone concesso alla stessa in locazione. Ritenendosi illegittimamente pregiudicata da tale provvedimento, la CALEG s.r.l. lo impugnava con ricorso notificato il 30/10/2012 ed indi ritualmente depositato presso gli uffici di segreteria del giudice adito, all’interno del quale veniva proposta un’unica – seppur internamente articolata – censura, di violazione dell’art. 9 della L. n. 447/1995, eccesso di potere per carenza d’istruttoria, eccesso di potere per manifesta illogicità e contraddittorietà eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità, atipicità dell’atto adottato, eccesso di potere per manifesta genericità, perplessità, illogicità e contraddittorietà della motivazione. Si costituiva in giudizio il Comune intimato con memoria depositata in segreteria il 19/11/2012. La domanda di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato veniva accolta con ordinanza collegiale n. 1095/2012 – ai fini della cui adozione assumeva peculiare pregnanza il temuto periculum in mora, per il rischio connesso alla perdita di n. 8 posti di lavoro conseguente alla sospensione dell’attività della CALEG s.r.l. in un periodo di forte crisi economica. Il Comune di Sinagra si è costituito in giudizio per resistere depositando controricorso in data 17/11/2012. Le parti scambiavano fra loro ulteriori scritti defensionali. All’udienza pubblica del 12/03/2014, dopo la discussione orale della causa , il ricorso veniva rimesso in decisione. Nel relativo verbale risulta annotato, per quanto rileva ai fini del decidere, quanto segue: “L’avv. Currao dichiara di non accettare alcun contraddittorio (sull’atto difensivo NdiR) … del Comune in quanto depositato in data 19.02.2014, richiamando a tal fine la decisione 2042/13 del C.d.S.. L’avv. Librizzi non accetta il contraddittorio sulla quantificazione dei danni non contenuti nel ricorso e formalizzate soltanto con memoria non notificata alla parte (C.d.S. IV sez. 8.9.2008), chiede inoltre di essere ammesso alla produzione tardiva della sentenza della Corte d’Appello di Messina sul ricorso RG 309/13 del 27.02.2014. L’avv. Currao precisa che è pendente giudizio di opposizione allo sfratto per morosità dinanzi al Tribunale di Patti che sarà chiamato alla udienza del 26.03.2014”. Ciò posto, il Collegio deve statuire preliminarmente intorno alla possibilità di utilizzare, ai fini della decisione da rendere, la “memoria” depositata in segreteria il 19/02/2014 dal difensore dell’Amministrazione intimata, stante la mancata accettazione del contraddittorio sul punto, eccepita in udienza dal difensore della società ricorrente, che ne ha fatto rilevato, in sostanza, la tardività. A tal proposito il difensore di parte ricorrente lamenta che l’Amministrazione abbia proceduto al deposito di un atto che avrebbe potuto considerarsi tempestivo solo qualora avesse assunto la forma della memoria “di replica” alla propria depositata in segreteria il 08/02/2013, e sul presupposto che essa facesse seguito ad una (precedente) memoria depositata dall’Amministrazione in epoca anteriore a tale data. Viceversa, nella specie mancherebbero entrambe le condizioni con conseguente inammissibilità delle difese. L’eccezione estremamente formalistica è infondata. In realtà la memoria depositata dal Comune in data 19/2/2014, pur non essendo titolata come “memoria di replica” ne assume in concreto la sostanza, in quanto contiene meri argomenti difensivi di segno contrario rispetto a quanto dedotto dalla parte ricorrente non solo col ricorso introduttivo, ma anche con riferimento alla memoria depositata dalla ricorrente in data 8/2/2014. Nella specie pertanto il mero aspetto temporale, del deposito della memoria dell’Amministrazione a seguito del deposito dell’ultima memoria della ricorrente configura in concreto il concetto di memoria di replica di cui all’art. 73 cod. proc. amm. a tenore del quale: “Le parti possono produrre … memorie fino a trenta giorni liberi e presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell’udienza, fino a venti giorni liberi”. Ed il dato testuale indica chiaramente che la norma contiene una sola condizione per il deposito di memorie fino venti giorni prima dell’udienza: l’esigenza di una parte di replicare alla memoria ultima depositata dalla controparte. E’ pur vero che secondo il Consiglio di Stato (cfr. Sez. V sentenza 22 marzo 2012, n. 16401) è da ritenere inammissibile (e dunque inutilizzabile) la memoria di replica nel caso in cui nessuna altra parte abbia depositato memorie conclusionali; queste ultime, infatti, nel disegno dell’art. 73, co. 1, c.p.a., costituiscono il presupposto indefettibile per la redazione di note di replica (idem, Consiglio di Stato, sez. V, sent. 15 aprile 2013, n. 2042); ma nella specie il ricorrente ha depositato propria memoria prima di quella depositata dal Comune e comunque non va trascurato che secondo altra giurisprudenza, più permissiva, l’art. 73 cit. non delineerebbe alcuna preclusione alla presentazione di memorie di replica in carenza di memoria conclusionale, sicché non sarebbe necessario produrre in ogni caso una memoria conclusionale quale presupposto essenziale per depositare una successiva memoria di replica, sussistendo semmai un limite “di tipo contenutistico”, che andrebbe concretamente evidenziato dalla controparte ed in relazione al quale la memoria depositata oltre i trenta giorni previsti dall’art. 73 comma 1, dovrebbe ritenersi tardiva solo ove non riguardi le stesse deduzioni o produzioni depositate dalla controparte (cfr. T.A.R. Sardegna, sent. n. 307 del 23 marzo 2012). Altra questione da risolvere preliminarmente, di ordine processuale, è quella della domanda formulata in udienza da parte del Difensore dell’amministrazione di essere autorizzato alla produzione tardiva della sentenza della Corte d’Appello di Messina pubblicata il 27/02/2014, quale documento idoneo a supportare in punto di prova la relativa eccezione. Il Collegio, tenuto conto che tale atto è venuto obiettivamente ad esistenza dopo lo scadere del termine ultimo previsto dal primo comma dell’art. 73 c.p.a. per la rituale produzione in giudizio di documenti, e senza che quindi il mancato rispetto di tale termine sia ascrivibile a censurabili condotte processuali della parte che ne ha offerto il deposito, autorizza la produzione tardiva della sentenza della Corte d’Appello di Messina pubblicata il 27/02/2014 a norma del primo comma dell’art. 54 c.p.a. . Per quanto concerne la domanda risarcitoria essa sarà esaminata infra all’esito dello scrutinio di legittimità o meno dell’atto impugnato. Si può quindi passare all’esame dell’eccezione di improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse proposta dal Comune di Sinagra all’interno della memoria depositata in segreteria il 19/02/2012. L’eccezione, formulata sulla scorta di un’istanza di sanatoria presentata dalla CALEG s.r.l. in data (più in particolare: il 08/11/2012) posteriore all’avvenuta proposizione del ricorso, deve essere respinta. E’ infatti evidente la differenza d’oggetto fra la sanatoria richiesta, che concerne (soltanto) la sistemazione dell’area all’esterno del capannone dove è collocata la macchina cippatrice, e quanto con il ricorso richiesto, ovvero l’accertamento della illegittimità del provvedimento amministrativo in forza del quale la CALEG s.r.l. sarebbe obbligata a collocare tale macchina all’interno del capannone condotto in locazione. Anche dopo la formulazione della sopra richiamata istanza di sanatoria, la CALEG s.r.l. conserva quindi immutato l’interesse ad una pronuncia definitiva di merito confermativa dello status quo ante, che è invece oggi stabilizzato soltanto in forma precaria e temporanea dall’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 1095/2012.

Passando all’esame del merito, e principiando dall’eccezione di infondatezza del ricorso in epigrafe per effetto della citata sentenza della Corte d’Appello di Messina pubblicata il 27/02/2014, va osservato che questa verte sulla sopravvenuta definitività dello sfratto della CALEB s.r.l. dal capannone concessole in locazione dal Comune di Sinagra; circostanza che renderebbe del tutto inutile discutere ancora dei legittimi modi di utilizzazione di uno spazio, dalla cui fruizione la società ricorrente è (già) stata estromessa in forza di provvedimenti adottati dal giudice ordinario.

L’eccezione è da respingere. Infatti. il sopravvenuto sfratto, benché definitivo in esito ad una ordinanza del Tribunale di Patti vanamente impugnata dinnanzi alla Corte d’Appello di Messina, per affermazione del difensore di parte ricorrente non specificamente contestata da controparte, non ha ancora interamente definito la relativa controversia per la riserva delle eccezioni di merito prevista dal primo comma dell’art. 665 c.p.c. Il diritto del Comune di Sinagra a rientrare nella disponibilità del capannone concesso in locazione alla CALEG s.r.l. deve quindi ancora considerarsi sub judice, come ancor più chiaramente risulta per affermazione del difensore di parte ricorrente non specificamente contestata da controparte, secondo la quale il relativo contenzioso attende ancora di essere definito, in ragione della riserva delle eccezioni di merito ex art. 665 c.p.c., primo comma, dinnanzi al Tribunale di Patti, in una futura udienza del 26/03/2014.

Deve quindi escludersi, contrariamente alla tesi dell’Amministrazione intimata, che la sentenza della Corte d’Appello di Messina del 27/02/2014, facendo venir definitivamente meno il diritto a detenere l’area in considerazione da parte della società ricorrente, possa aver determinato l’infondatezza del ricorso in epigrafe o la carenza di interesse. II) Venendo ora all’esame delle censure proposte, ne va rilevata l’infondatezza. Principiando dalla dedotta violazione dell’art. 9 della L. n. 447/1995, dal testo del provvedimento impugnato non è possibile in alcun modo desumere la sua rilevanza in ordine al formarsi degli intendimenti dell’Amministrazione intimata – la quale, nell’escludere che la macchina cippatrice possa essere collocata all’esterno del capannone, si richiama piuttosto, correttamente, al T.U. delle leggi sanitarie (rappresentato dal R.D. n. 1265/1934), che all’art. 216 prevedono che l’esercizio di industrie insalubri possa essere vietato nel pubblico interesse, o sottoposto a particolari prescrizioni, conferendo poi all’autorità comunale, con il successivo art. 217, i poteri d’ordine necessari per garantire la perdurante conformità dell’attività svolta alle esigenze di tutela della salute pubblica.

Orbene, quanto alla legittima allocazione della macchina scippatrice, nessun atto viene prodotto per dimostrare che la ricorrente sia stata autorizzata ad utilizzarla all’esterno del capannone, non rilevando a tal fine il provvedimento dirigenziale del 3.9.2009, sostanzialmente confermato con provvedimento del 12.2.2010, che concerne solamente l’autorizzazione ad occupare il suolo pubblico adiacente ai capannoni condotti in locazione, non anche la destinazione di tale area per allocarvi la macchina predetta.

Peraltro la stessa ricorrente con memoria depositata l’8/02/2014 finisce sostanzialmente con l’ammettere che la macchina cippatrice era stata prevista per operare dentro il capannone, ricordando la rappresentazione grafica che indicava, all’interno del capannone anche la presenza di 3 camion per la movimentazione della materia trattata.

Per il resto, valutando alla stregua della norma indicata in precedenza – piuttosto che dell’affatto inconferente art. 9 della L. n. 447/1995 – le ulteriori censure proposte in termini di complessiva ragionevolezza dell’operato dell’Amministrazione intimata, occorre rilevare che : 1) l’assenza di pregiudizio per la pubblica incolumità è dedotta dalla Caleg S.r.l. omettendo di considerare che il provvedimento impugnato trova ulteriore motivazione nella nota del 13/09/2012 n. 1131/U.C.I.P. della A.S.P. di Messina – Dipartimento di Prevenzione – Distretto di Patti, la quale, dopo aveva riscontrato criticità già in atto legate alla collocazione all’esterno del capannone della macchina cippatrice (in quanto “è pure possibile il verificarsi di condizioni di pregiudizio alla sicurezza dei lavoratori allorchè la polvere si trasforma in fango a seguito delle precipitazioni atmosferiche con conseguente impaludamento del terreno. Necessario è, pertanto, che le attività esterne avvengano su di un’area pavimentata e provvista di sistema di regimazione delle acque meteoriche con conseguente corretto allontanamento e smaltimento delle acque di dilavamenti”), ed evidenziatene di ulteriori, sia pure allo stato soltanto potenziale – giacchè (guarda caso…) al momento dell’accesso effettuato “la macchina cippatrice non era in funzione a causa di un guasto” -, rappresenta che “eventuali non conformità alle norme vigenti che risultassero dalle verifiche di carattere ambientale (emissioni sonore, fumi in atmosfera) richiederanno provvedimenti adeguati a tutela della salute pubblica e dell’ambiente”.

Così com’è puntualmente avvenuto con l’adozione del provvedimento impugnato. Quanto poi al mancato richiamo di tale nota all’interno del provvedimento impugnato, il Collegio ritiene che ciò non possa viziarlo, tenuto conto della circostanza che gli elementi negativamente valutati dal Sindaco del Comune di Sinagra già dovevano essere noti al titolare della CALEG s.r.l., indipendentemente da qualunque specifica loro esternazione, in considerazione del fatto che l’accesso ispettivo finalizzato a rilevarli è avvenuto “in data 11/09/2012, in presenza del titolare della CALEG s.r.l., Sig. Carmelo Caltabiano”(così espressamente all’interno della nota del 13/09/2012 n. 1131/U.C.I.P. della A.S.P. di Messina – Dipartimento di Prevenzione – Distretto di Patti). 2) La lamentata violazione del principio di proporzionalità prescinde in modo assoluto dalla considerazione del diverso valore degli interessi che la collocazione in ambiente esterno della macchina cippatrice pone fra loro in conflitto. Infatti, già secondo norme di rango costituzionale, e segnatamente il secondo comma dell’art. 41 della Carta fondamentale, il riconoscimento del valore dell’attività di impresa non può spingersi sino a consentire alla stessa di svolgersi in modo da “recare danno alla sicurezza”.

Il provvedimento impugnato, essendo finalizzato alla tutela della salute pubblica come “sicurezza” generale, anche fuori dall’ambito più circoscritto del singolo ambiente di lavoro, si muove quindi nel rispetto di quei parametri. In termini, senza doversi necessariamente dilungare oltre, il Collegio può far utilmente riferimento ad un autorevole pronunciamento, secondo cui l’esercizio del potere previsto dagli artt. 216 e 217 del T.U. n. 1265/1934, non necessit(a) dell’esistenza di una effettiva situazione di danno per la salute pubblica, essendo finalizzato a prevenire possibili situazioni di pericolo (cfr. Consiglio di stato, sez. V, sent. 16 giugno 2009, n. 3976). In ogni caso, occorre evidenziare come dopo la modifica del regolamento comunale per la gestione degli spazi esterni ai capannoni dell’area P.I.M. con delibera consiliare n. 41 del 14/11/2012, risulta possibile la regolarizzazione della posizione della CALEB s.r.l., che si è allo scopo attivata con istanza del 08/11/2012.

E’ quindi evidente il preesistere di condizioni tali da poter giungere a normalizzare la situazione data, secondo canoni coerenti con il principio di proporzionalità; senza peraltro che la società ricorrente possa lamentare alcunché quanto al tempo della effettiva soluzione del problema, in quanto, per affermazione del Comune intimato in memoria del 19/02/2014, non specificatamente contestata dalla società ricorrente, il ritardo nella definizione della relativa pratica ha avuto causa esclusivamente negli atteggiamenti dilatori posti in essere da quest’ultima. III) In mancanza del necessario preliminare accertamento dell’illegittimità del provvedimento impugnato con il ricorso in epigrafe, viene altresì rigettata la domanda risarcitoria con esso proposta, senza alcuna necessità che il Collegio prenda posizione sul contrasto evidenziatosi in udienza fra le parti circa la regolare costituzione del relativo contraddittorio processuale. IV)

Tenuto conto del diverso segno delle decisioni assunte dal Collegio nella fase cautelare e di merito, lo stesso ritiene ricorrere giustificati motivi per disporre la totale compensazione delle spese di giudizio fra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) rigetta il ricorso in epigrafe, e la domanda risarcitoria al suo interno proposta. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2014 con l’intervento dei magistrati: Calogero Ferlisi, Presidente Agnese Anna Barone, Consigliere Gustavo Giovanni Rosario Cumin, Referendario, Estensore

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